Noi avvocati quanto siamo capaci di resistere alle avversità?
Resilienza è un termine che deriva dalla meccanica, ed in particolare dalla tecnologia metallurgica e cioè la capacità di un metallo di resistere alle forze che vi vengono applicate.
Resilienza viene utilizzato anche in psicologia e serve a descrivere l’attitudine dell’uomo a resistere al logoramento della vita quotidiana, senza farsi abbattere e ad avere la forza di rialzarsi.
La resilienza rappresenta il contrario della fragilità!! Psicologo della Squadra Olimpica Italiana di Sci di Fondo alle Olimpiadi di Torino 2006: “la resilienza psicologica è la capacità di persistere nel perseguire obiettivi sfidanti, fronteggiando in maniera efficace le difficoltà e gli altri eventi negativi che si incontreranno sul cammino. Il verbo “persistere” indica l’idea di una motivazione che rimane salda. Di fatto l’individuo resiliente presenta una serie di caratteristiche psicologiche inconfondibili: è un ottimista e tende a “leggere” gli eventi negativi come momentanei e circoscritti; ritiene di possedere un ampio margine di controllo sulla propria vita e sull’ambiente che lo circonda; è fortemente motivato a raggiungere gli obiettivi che si è prefissato; tende a vedere i cambiamenti come una sfida e come un’opportunità, piuttosto che come una minaccia; di fronte a sconfitte e frustrazioni è capace di non perdere comunque la speranza.
Ci si domanderà ma tutto questo cosa centra con l’esercizio della professione forense?
La resilienza per un professionista corrisponde alla capacità di far fronte ai cambiamenti, alle incertezze, alla mancanza di conoscenza, alle difficoltà organizzative, ai cambiamenti culturali, alle difficoltà economiche, ai continui cambiamenti normativi. Quanto l’avvocatura saprà accettare il cambiamento in atto e dunque a ripartire? Quanto l’avvocatura sarà capace di cambiare passo e ad accogliere un progetto?
A questo proposito ribadisco che è necessario ampliare le competenze dell’avvocatura e, soprattutto, di quanto possa essere importante il ruolo degli avvocati nel disincentivare il ricorso al contenzioso avanti il Giudice togato, mediante mezzi alternativi come l’arbitrato, la negoziazione assistita, la mediazione, la conciliazione.
Chi meglio dell’avvocato può impostare una mediazione di interessi contrapposti fra le parti? Ed ancora, perché precludere alla clientela la strada dell’arbitrato, per ottenere una decisione, il lodo, in tempi brevi o comunque ragionevoli, a seconda dell’importanza e della complessità delle questioni? Occorre mettere da parte il reiterato, quanto immotivato, “pre – giudizio”, in merito alla competenza, terzietà, indipendenza dell’avvocato che assume il ruolo di arbitro.
Tale “malcostume” è stato alimentato in questi anni, non tanto dalla mancanza di competenza dell’avvocatura, ma da una mancanza di “formazione”, di “postura” che l’avvocato deve assumere quando accetta il ruolo di arbitro, di mediatore, di conciliatore e da costi eccessivamente elevati e ingiustificati.
Lo stesso “pre – giudizio” è diffuso nei confronti della mediazione, della negoziazione assistita, strumenti che, se utilizzati secondo le regole dettate per impostare al meglio la risoluzione di interessi confliggenti tra le parti, contribuiscono e, ritengo, contribuiranno sempre più, a ridurre le migliaia di cause pendenti, spesso promosse anche per modesti valori.
È opinione diffusa che la giustizia civile sia in grande difficoltà, per diverse ragioni, non ultima l’organizzazione amministrativa presso i Tribunali. Nonostante il processo telematico e le riforme, le controversie sottoposte al Giudice togato sono di numero elevatissimo, tanto che la stessa magistratura non riesce a risolvere tempestivamente le cause sottopostole.
Infatti, il numero di processi civili sfiora ancora i 5.000.000, un numero esorbitante che rischia di allontanare il cittadino dai valori democratici per “denegata giustizia”.
A questo proposito, indagare le ragioni di queste insufficienze sarebbe ripetitivo: troppi avvocati, troppi litigi, pochi Giudici… penso, invece, che occorra incominciare ad occuparci più diffusamente di “un problema di cultura e di educazione alla legalità”, come recentemente dichiarato dal Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Remo Danovi.
Sono d’accordo con l’Avv. Danovi nel ritenere che, riscontrata “oggettivamente la situazione”, il Legislatore ha ricercato “…mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in tutti i modi possibili” e quindi ha, dapprima imposto obbligatoriamente la mediazione, come condizione preliminare per esperire l’azione giudiziaria, poi ha permesso il passaggio della controversia dal Giudice ordinario ad un Collegio Arbitrale, ed ancora ha affidato agli avvocati e alle parti la legittimazione a definire le liti con un accordo, la c.d. negoziazione assistita, con la conseguenza che tutto ciò sta portando allo “sgretolamento dell’universalità della Giurisdizione”. Che cosa significa tutto ciò? Che, se nel prossimo futuro, l’avvocatura saprà cogliere la “sfida” che si profila all’orizzonte, potrà aprirsi una nuova strada “alternativa” alla gestione della Giustizia che tutti ora conosciamo, dove le Imprese potranno ottenere risultati autorevoli, celeri e quindi competitivi.