Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione, n. 10112/2014, ha accolto il ricorso proposto da una Spa contro il decreto del Tribunale di Roma che dichiarava inammissibile la proposta di concordato preventivo che prevedeva l’integrale soddisfacimento dei creditori privilegiati attraverso la liquidità generata dalle dismissioni realizzabili in attivo in un arco temporale non superiore ai 4 anni.
Il Tribunale aveva rilevato che il pagamento per intero dei creditori privilegiati attraverso la liquidità generata dalle dismissioni realizzabili in attivo in un arco temporale non superiore ai 4 anni ovvero con un pagamento dilazionato nel tempo non era consentito, atteso che i crediti privilegiati sono sottratti alla deliberazione per l’approvazione della proposta concordataria, proprio sul presupposto che il loro soddisfacimento per intero renda non opportuna la loro partecipazione al voto, a meno che non ritengano di rinuziare al privilegio, e che pertanto, in assenza di un espresso consenso alla dilazione essi debbano essere soddisfatti nell’immediato.
Quattro dunque le questioni sottoposte al vaglio della Suprema Corte:
- Se sia ammissibile una proposta di concordato preventivo che preveda il pagamento dilazionato dei creditori privilegiati
- In caso affermativo, se i predetti creditori abbiano diritto di voto nel concordato, in quanto equiparabili ai creditori privilegiati non soddisfatti integralmente
- In ipotesi di riconoscimento del diritto al voto, quale sia la misura del credito in relazione alla quale computare il diritto al voto
- L’incidenza sul meccanismo delineato sub 3) dell’eventuale riconoscimento di interessi legali in favore dei creditori privilegiati soddisfatti con notevole dilazione rispetto ai tempi tecnici della procedura
In relazione al primo quesito la tesi affermativa è tratta dall’intervento del Legislatore, il quale con la riforma dell’art. 160 L.F., operata con il D.Lgs 169/2007, ha ora espressamente previsto che “la proposta può prevedere che i creditori muniti di diritto di privilegio, pegno o ipoteca, non vengano soddisfatti integralmente, purchè il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione …”.
Coerentemente, il nuovo art. 177 comma 3 L.F. prevede che ai fini della legittimazione al voto “ i creditori muniti di diritto di prelazione di cui la proposta di concordato prevede, ai sensi dell’art. 160 L.F., la soddisfazione non integrale, sono equiparati ai chirografari per la parte residua del credito”.
La conferma della tesi favorevole all’ammissibilità della dilazione di pagamento dei creditori privilegiati è stata correttamente tratta, tra l’altro, dall’art. 182 ter L.F. in tema di transazione fiscale, nonché dall’art. 186 bis comma 2 lett. c) L.F. secondo il quale nel concordato con continuità aziendale “il piano può prevedere una moratoria sino ad un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui sopra non hanno diritto al voto”.